Saleh Kazemi (Teheran, 1992) registra con la china impressioni fugaci che coagulano sul foglio come in una pellicola fotografica.
Una cristalliera fitta di ricami, di gangli, di incontri accidentali. I soggetti ritratti sono sempre “assorti” nella propria attività, colti mentre sorseggiano un tè caldo o un cappuccino, leggono e scrivono, inventano la propria filosofia nei minuti incolmabili d’attesa.
Eppure non si distanziano in isole monadiche, interagiscono con ciò che li circonda come fossero tutt’uno con il contesto. Un paesaggio culturale ricco di libri, sapori, di pensieri rarefatti che viaggiano da espressione in espressione, in un testa a testa conviviale.
I suoi elementi proliferano quasi per germinazione spontanea, si contaminano, vengono incapsulati in una dimensione parallela, concepita nella mente e vissuta allo stesso tempo.
Un arazzo stratificato, un hortus conclusus, le cui linee si impossessano della carne e della materia e ritrovano il piacere di perdersi. Le forme riempiono la superficie, stilizzano in motivi ornamentali da tappeto persiano, senza sfilacciarsi ma tendendo alla coesione.
Saleh è stato uno degli artisti della mostra Habitarte, curata da Giorgia Basili, in occasione dello scorso Inspiration Day di Together.
Se ve lo siete persi quel giorno, lo trovate qui.