L’insostenibile leggerezza del non-essere

Bruno Melappioni (classe 1950) è un artista molto legato al territorio. Il suo studio ubicato nel quartiere di San Lorenzo, come una sorta di Factory rappresenta un luogo di incontro, di scambio, di confronto produttivo e stimolante. Bruno Melappioni può essere ritenuto un maestro, perché con la sua temperanza ed estrema volontà creativa, affronta quotidianamente le asperità dell’essere artista con filosofia, esperienza ed un’intelligenza più unica che rara.

L’impressione che si ha in presenza delle sue sculture è che queste vibrino di un’esistenza propria, sospese tra la realtà in cui insistono e una dimensione altra. Leggere come l’aria che circola al loro interno sembrano permearla, trattenerla in un corpo vivo ed espirarla, più calda e concentrata.

Bruno Melappioni ha un diverso spirito di concepire il tridimensionale, le sue opere non sono di marmo, bronzo, legno né costituite di nuovissimi materiali all’avanguardia al contrario sembrano nutrirsi dell’ambiente circostante e modificarlo grazie alla loro trama in fil di metallo. Sono figure costruite di un’intelaiatura in ferro, lasciate al naturale o verniciate con colori ad acrilico, non ricoperte da alcun rivestimento. L’anima rimane visibile, il resistente scheletro ne fa l’ossatura e la carne, una carne intangibile come una sostanza gassosa ed insieme solidamente equilibrata.

Come artista a tutto tondo Melappioni ha sperimentato metodi e materiali diversi: dal polistirolo per costruire scenografie teatrali e cinematografiche al gesso e alla plastica; si è approcciato inoltre alla pittura, destreggiandosi nelle più svariate tecniche: acrilico, acquarello, tempera ed olio.

In questa esposizione l’indagine affrontata ci riporta alla cultura del bidimensionale. Le sue opere accostate alle fotografie di Mask 85, da cui traggono ispirazione e desumono le linee essenziali, si distaccano da quest’ultime nell’ordito di filamenti sottilmente ponderati. In questo diventano scultura. I chiaroscuri sono le porzioni vuote delimitate della figura, vengono banditi i pieni di tono e la temperatura melensa degli scatti eppure la costruzione dell’immagine è eseguita maniacalmente. Un gusto per il dettaglio si insinua nel reticolo di rame o di ottone; persino le perline dell’abito da sera, la fossetta del mento, le pieghe delle camicie e della pelle non sfuggono agli occhi vigili di Melappioni.

In “Urlo silenzioso” la pellicola di plastica tirata sulla bocca dalle nocche della modella si trasforma in tensione cruda. La trasparenza non riesce a leggersi: le opere del maestro, accostabili all’ossatura delle finestre gotiche, sono trasparenza per assurdo, vuoto che colma. In questo modo la pellicola trasfigura in pelle che la donna cerca di staccare dal proprio volto, senza riuscire a liberarsi dalla morsa del materiale isolante. Sconvolta nei connotati da un urlo agghiacciante.

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